Silvia
Una luce di nome Silvia
La dolorosa esperienza di una famiglia dalla quale trarre insegnamento raccontata in un volume presentato alla XXXIV edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino. Una testimonianza di fede, un coraggioso atto d’amore e di speranza.
Per un genitore non esiste dolore più grande di quello della perdita di un figlio o di una figlia, è innaturale che ciò avvenga, irrazionale ed inspiegabile. Sopravvivere al proprio figlio è un dolore incommensurabile, indefinibile. Ciò non dovrebbe accadere ma purtroppo avviene lasciando nello sconforto più totale i familiari ai quali, solitamente, non rimane altro che aggrapparsi ai ricordi, possibilmente quelli più belli, per continuare ad andare avanti nel travagliato cammino della vita terrena.
Il percorso non è semplice e la disperazione potrebbe avere il sopravvento se in quei momenti di afflizione non sopraggiungesse opportuna la fede a sollevarli con il suo innato potere. La fede, una delle tre virtù teologali senza la quale ogni essere umano brancolerebbe nel buio e, che invece, è capace con la sua grazia divina di ridare speranza e di illuminare con la sua luce, chiunque pensasse d’essere sprofondato nelle tenebre per poi arrivare a conoscere Dio e così affidarsi interamente a Lui. E la fede è proprio la virtù che ha animato Elena Apicella e Vito Tassone, due genitori di Soverato aiutandoli ad affrontare la malattia e la conseguente perdita della loro bambina Silvia ammalatasi a nove anni di un tumore osseo maligno e che due anni dopo, l’otto dicembre 2007, giorno dell’Immacolata Concezione, – come nel loro dignitoso dolore amano dire i due genitori – la fece nascere in cielo.
Una fede trasmessa loro proprio da Silvia che pur sofferente, li incoraggiava perché aveva accanto a lei un amico speciale, Gesù.
«Silvia era una bambina normale, andava a scuola, giocava con i suoi amici, frequentava l’oratorio salesiano – racconta la sua mamma – ma aveva un’amicizia intima con Gesù. Ha fatto il suo brevissimo percorso di vita sotto questa protezione facendo crescere ogni giorno questo piccolo seme di fede che le era stato insegnato fin da piccola. Per questo abbiamo voluto “donare” la sua storia agli altri come testimonianza non solo di fede ma anche di speranza. Io penso che proprio la fede sia stata l’elemento più importante della nostra storia perché ha aiutato sia noi sia Silvia ad affrontare questo momento serenamente».
E la storia di Silvia, “Angelo di luce”, è diventata un libro scritto a quattro mani da mamma Elena e papà Vito per dare testimonianza e speranza a quanti si trovano nel dolore e non riescono a spiegarsi i motivi di tante sofferenze umane nel mondo.
È la storia di una famiglia formata da due genitori e da due fratelli: Edoardo, di un anno più grande di Silvia, e Tommaso, il fratellino nato dopo la morte di Silvia che era venuta al mondo il 14 novembre 1996, alla trentunesima settimana di gestazione.
Silvia era la secondogenita di Elena e Vito. Crescendo diventava sempre più vivace e allegra: la danza, in particolare, era il modo con cui esprimeva la sua gioia di vivere. Anzi, una volta sua madre le chiese di fermarsi, perché non riusciva a fare le pulizie con lei di mezzo. Ricevendo una spiazzante risposta: «Ma cosa dici? Sto ballando per Gesù, c’è Lui che mi guarda!». Quella consapevolezza le arrivava anzitutto dall’educazione religiosa ricevuta in famiglia e poi, dalla frequentazione delle celebrazioni religiose nella sua chiesa. Proprio ballando, precisamente mentre provava una coreografia per lo spettacolo scolastico di Carnevale, Silvia sentì degli strani dolori al ginocchio sinistro. Poiché il dolore continuava, la piccola fu sottoposta ad una serie di esami per capirne la ragione: una radiografia e una risonanza magnetica fecero intendere che si trattava di qualcosa di grave. Solo dopo il ricovero all’Istituto Ortopedico “Gaetano Pini” di Milano arrivò la diagnosi: sarcoma di Ewing. E lì, di nuovo, la bambina sorprese i suoi rassicurandoli che sarebbe andato tutto bene perché, durante gli esami tecnici, era stata «in compagnia di Gesù». Iniziarono quindi le terapie mensili in day hospital all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, affrontando il primo di molti viaggi in aereo.Al contempo, a scuola, Silvia era attenta e diligente: cercava di tenersi al passo con i compagni, anche se doveva spesso assentarsi. L’affetto che mostrava per loro era ricambiato, tanto che quando ritornò dopo l’intervento nel quale le fu sostituito un tratto del femore, le organizzarono una festa. Jole, la sua compagna di banco che le era particolarmente affezionata, la ricordò in un componimento scolastico, insieme alle altre sue preziosissime amiche.
L’operazione sembrava riuscita, tanto che per molti mesi non emersero segni di ripresa della malattia. La gioia di Silvia era più esplosiva che mai: correva nei campi abbandonando le sue stampelle, si tuffava in mare senza dare segni di stanchezza, ammirava le bellezze della natura. Tuttavia, a metà agosto 2007, riprese ad avere dolori alla gamba destra: non riusciva neanche a partecipare al primo giorno di scuola alle medie. Si trattava di una recidiva, che schiantò i suoi genitori: «Non si piange!», li ammonì cantilenando mentre, di nuovo, volavano verso Milano. Con la speranza di guarire, si sottopose a tutte le cure necessarie. Riuscì anche a rivedere suo fratello Edoardo, rimasto a casa insieme alla madre, che era tornata per stargli accanto. Poco prima delle dimissioni, esclamò: «Spero che tutti i malati che useranno il mio letto e passeranno dalle macchine sotto le quali sono stata (radio, tac, ecc.) ricevano tante grazie per quante sofferenze ho patito io!». Per quanto possibile, riprese la sua vita normale.
Pregava insieme ai suoi familiari, ma un giorno li sorprese ancora con un’affermazione particolare. Durante la lettura di una preghiera con l’espressione «Chiedete e vi sarà dato», dichiarò: «Io non ho bisogno di chiedere niente perché mi sono venduta a Gesù fin da piccola!». Allo stesso modo, quando la mamma le mostrò l’albero di Natale, preparato in anticipo apposta per lei e le domandò quali regali volesse, replicò: «Non voglio niente, ho tutto!», anche se il giorno dopo chiese di poter ricevere Cicciobello Bua, un bambolotto da curare per gioco. Nell’ultimo mese di vita, fu aiutata dal suo parroco don Tobia Carotenuto, dal vicario don Giovanni Cantatore e da don Ferruccio Apicella, suo parente da parte di madre; fu l’ultimo a portarle la Comunione. Ricevette l’Unzione degli Infermi in pieno possesso delle sue facoltà cognitive.
Fino agli ultimi istanti incoraggiò i suoi familiari a restare uniti e a non litigare, neppure per causa sua. L’8 dicembre 2007 si aggravò e fu sottoposta a sedazione. Alle 17,15 dello stesso giorno non fu dichiarata morta, come freddamente si potrebbe dire, ma nacque in Cielo. E domenica 29 maggio 2022, nel programma “Fatti per il Cielo” condotto da don Francesco Cristofaro e trasmesso dall’emittente “Padre Pio TV”, il pezzetto di Cielo, il bel tesoro ricevuto in regalo tramite Silvia fu pubblicamente condiviso dai genitori Elena e Vito presenti in studio per testimoniare ancora una volta, con la loro straordinaria sensibilità, quanto coraggio e forza possa infondere la fede.
La settimana prima, domenica 22 maggio, il libro “È nata una luce di nome Silvia” era stato presentato alla XXXIV edizione del Salone Internazionale del libro di Torino per non dimenticare mai che per tutti, anche nel buio più profondo ci sarà sempre una luce a rischiarare il cammino dell’esistenza umana se si sarà sorretti dalla potenza della fede, l’unica durante la nostra breve presenza sulla terra in grado di sollevarci dalle nostre miserie, disgrazie e inquietudini, specialmente nell’attuale epoca caratterizzata da una grave crisi economica mondiale e dai rischi di una siccità che rendono il futuro sempre più incerto.